Perché a volte reagiamo troppo? Perché il corpo tiene il conto

Non è solo una tua impressione: a volte un piccolo evento ti scatena dentro qualcosa di enorme.

Una frase ti tocca troppo.

Un atteggiamento ti manda in crisi.

Una richiesta ti paralizza.

Oppure ti arrabbi, esplodi, ti chiudi.

E poi ti chiedi: ma perché ho reagito così?

La risposta non è sempre nell’evento in sé. Ma in tutto quello che è venuto prima.

I trigger non sono reazioni esagerate. Sono reazioni cumulative.

Non reagisci solo a quello che sta accadendo ora. Reagisci a tutte le volte precedenti in cui è successo qualcosa di simile.

Non stai rispondendo a quella persona o a quella situazione: stai rispondendo anche a tutte le esperienze non elaborate che assomigliano a quella.

Lo spiega molto bene Bessel van der Kolk in The Body Keeps the Score – Il corpo accusa il colpo.

Il corpo non dimentica.

Segna tutto: le volte in cui sei statə ignoratə, svalutatə, invaso emotivamente.

Le volte in cui non hai potuto reagire, in cui hai dovuto adattarti per sopravvivere.

E ogni volta che qualcosa di vagamente simile si ripresenta… il corpo lo riconosce e reagisce. Con tutta la memoria accumulata.

Ma perché il corpo “tiene il conto”? Che cosa succede, davvero?

Perché lo stress non va via da solo.

E questo non è solo psicologico: è fisiologico.

Quando vivi un evento stressante, il sistema nervoso si attiva. Entra in modalità difesa (attacco, fuga, congelamento o compiacenza).

Se dopo l’evento hai uno spazio sicuro dove parlarne, piangere, muoverti, ricevere accoglienza… il corpo scarica. Torna a uno stato di equilibrio.

Ma se questo spazio non c’è (come spesso accade nell’infanzia o in contesti disfunzionali), il sistema resta iperattivato o si spegne troppo. Lo stress non viene metabolizzato. Rimane nel corpo.

Le ricerche di Van der Kolk e di altri studiosi hanno mostrato che:

• lo stress non elaborato modifica le aree del cervello legate alla memoria, all’attenzione e all’emotività (come l’ippocampo, l’amigdala, la corteccia prefrontale);

• il corpo registra questi ricordi non come passato, ma come allarme presente;

• anche anni dopo, uno stimolo apparentemente banale può riattivare la stessa risposta emotiva e corporea dell’evento originario.

Il corpo tiene il punteggio perché non ha avuto modo di archiviare.

La rabbia, la stanchezza, la chiusura non arrivano dal nulla

Chi ha confini fragili o troppo permeabili spesso non se ne accorge nemmeno.

Ma inizia a sentirsi esaurito. Sempre in tensione. Sempre nel bisogno di controllare tutto.

Il problema è che questi non sono “sintomi casuali”.

Sono segnali che il corpo manda perché ha trattenuto troppo a lungo.

Perché ha sopportato in silenzio. E adesso non ce la fa più.

Non abbiamo imparato a scaricare, a dire, a regolare.

Anzi, spesso abbiamo imparato il contrario: a stare zitti, a essere bravi, a non disturbare.

E il corpo si è adattato. Ma non ha dimenticato.

“Non è successo niente di grave”. Davvero?

Uno dei pensieri che blocca molte persone è questo:

“Ma dai, non è così grave. Non è mica successo niente di serio”.

Ma il corpo non ragiona così.

Il corpo non misura l’intensità con criteri razionali.

Misura la ripetitività, la solitudine, la mancanza di sicurezza.

E se da piccolə non ti sei sentitə ascoltatə, protettə, valorizzatə, anche piccoli episodi possono diventare enormi.

Non perché sei debole.

Ma perché il tuo sistema nervoso è stanco di farcela da solo.

Quando i confini non ci proteggono, tutto passa

Quando i confini non sono chiari, tutto entra:

le emozioni degli altri, i loro bisogni, la loro ansia.

E il corpo incassa.

Finché non riesce più a reggere.

La persona che dice sempre sì, che si colpevolizza, che cerca di non dare fastidio…

non è solo gentile. Spesso è esausta.

E la rabbia non è un difetto.

È il segnale che il corpo si è stancato di trattenere.

Il corpo ti sta chiedendo di fermarti

Ecco il punto: ogni reazione intensa non va solo contenuta o giudicata.

Va capita.

Perché dietro c’è una storia.

E spesso quella storia non è mai stata ascoltata.

Chi arriva a un trigger forte ha quasi sempre ignorato per anni segnali più piccoli.

Ma il corpo li ha registrati. Tutti.

E adesso ti sta dicendo:

“Non posso più farcela da solo.”

Conclusione

Se ti riconosci in questa fatica, in questa rabbia che ti sembra “troppo”,

in questo senso di vuoto che arriva subito dopo…

sappi che non sei fragile. Non sei rotto.

Sei stato forte troppo a lungo.

E adesso il tuo corpo ti chiede solo una cosa: ascoltami.

Non per giudicarti.

Ma per ricominciare da lì.

Dai confini, dalla presenza, dalla verità di quello che senti.

Pezzo per pezzo.

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Non lavoro per eliminare le emozioni. Lavoro per aiutarti a capirle, regolarle e trasformarle.

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