Che cos’è il riconoscimento?
Il riconoscimento è uno dei bisogni fondamentali del bambino. Vuol dire essere vistə. Vuol dire che qualcuno ti guarda e ti dice, anche senza parole: “Ti vedo. So che ci sei. So che sei diversə da me. E va bene così”.
Non è coccolare. Non è approvare. Non è nemmeno amare. È un passaggio prima di tutto questo. È vedere. È ascoltare senza correggere. È uno sguardo che dice: tu sei tu, io sono io. E tu vai bene anche se sei diverso da quello che mi aspettavo.
Quando manca questo sguardo, nasce una ferita sottile. A volte invisibile. Ma profonda. E lascia un segno nel modo in cui cresci, ti relazioni, ti pensi.
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Che cosa succede quando manca?
Quando un bambino non viene riconosciuto, spesso si adatta. Cambia forma. Si trasforma in quello che serve per essere notato. Magari diventa bravissimo, o invisibile, o buffo, o accomodante. Si plasma attorno alle aspettative degli altri. Ma dentro, c’è un vuoto.
Un bambino non riconosciuto sente che deve essere qualcun altro per valere qualcosa. E quindi comincia a dubitare di sé. Di quello che prova, di quello che vuole, di quello che è. Non si sente legittimato. Vive con il sospetto costante di essere “sbagliatə”. Anche se non sa perché.
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Perché il riconoscimento può mancare?
Qui non parliamo solo di genitori cattivi o assenti. Spesso il riconoscimento manca anche in famiglie “presenti”, “affettuose”, “normali”.
A volte manca perché il genitore non ha mai ricevuto riconoscimento a sua volta. Non ha mai imparato a vedere l’altro come un essere separato da sé. Quindi, quando diventa genitore, ripete lo schema: o pretende troppo, o soffoca, o corregge, o proietta.
Altre volte manca perché il genitore ha vissuto traumi non elaborati. Ad esempio:
• Un genitore che ha dovuto essere “forte” troppo presto, faticherà a riconoscere la vulnerabilità del figlio.
• Un genitore che ha vissuto abbandoni può diventare ipercontrollante, confondendo presenza con possesso.
• Un genitore che ha represso le emozioni, potrebbe giudicare come “troppo” quelle del figlio, e quindi non vederle davvero.
E poi ci sono i casi in cui il bambino è molto sensibile, molto intenso, molto profondo… e questo attiva nel genitore delle paure. Il genitore non sa come gestirle. Allora le nega. Le minimizza. Le blocca. E così non riconosce il figlio per quello che è.
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Quali sono gli effetti?
Crescere senza riconoscimento lascia addosso una confusione sottile. Spesso chi ha vissuto questa esperienza non riesce a dare un nome preciso al disagio, ma lo sente. Sente che manca qualcosa. Che qualcosa non torna.
Non sapere chi si è davvero. Dubitare delle proprie emozioni. Avere bisogno continuo di conferme. Sentirsi in colpa per tutto. Faticare a dire “no”. Sentire che si sta occupando un posto che non spetta. Come se la propria esistenza fosse sempre un po’ troppo.
È una ferita difficile da vedere anche per chi l’ha vissuta, proprio perché non si è trattato di qualcosa che è stato fatto, ma di qualcosa che non c’è mai stato.
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Come ci si difende?
Chi non ha ricevuto riconoscimento, spesso sviluppa strategie di sopravvivenza:
• si chiude in se stesso,
• si adatta a quello che gli altri vogliono,
• cerca approvazione continua,
• sviluppa iper-indipendenza (“non ho bisogno di nessuno”),
• si allontana da sé pur di restare con l’altro.
Ma queste strategie, anche se proteggono, non fanno stare bene. Perché il bisogno di essere riconosciutə non sparisce. Si nasconde. Ma resta lì. A volte come fame d’amore. A volte come vuoto. A volte come ansia. A volte come rabbia.
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Una ferita invisibile, ma reale
Quella del mancato riconoscimento è una ferita invisibile, ma reale. È una ferita che si forma nel silenzio, nelle piccole omissioni, nelle correzioni continue, nei “non esagerare”, nei “non fare così”, nei “sei troppo”. Non lascia lividi, ma cambia tutto.
Le persone più sensibili, quelle con confini fragili, spesso interiorizzano tutto questo. Si sentono sbagliatɜ, si colpevolizzano. Hanno imparato a riferire tutto a sé, anche il dolore, anche l’assenza. E quindi non riescono nemmeno a dare un nome a quello che hanno vissuto.
Per questo è così importante comprendere.
Sapere cos’è il riconoscimento, quanto conta. Sapere che la mancanza di qualcosa non è colpa loro. Che non è debolezza, non è esagerazione, non è “troppo”.
È qualcosa che è mancato davvero. Solo che nessuno gliel’ha mai detto. Nessuno gliel’ha spiegato.
Ma da qui si può iniziare. Chiamando le cose col loro nome.
Se hai bisogno di supporto, sono Elena, dottoressa in psicologia, coach e counselor certificata, e mi dedico proprio a persone sensibili, intense e con confini fragili. Scrivimi per una prima chiacchierata gratuita.