Mi è stato detto che il mio sentire non è valido.
Che le emozioni forti sono manipolabili, pericolose, o segno di debolezza.
Che chi “sente troppo” rischia di cadere nella propaganda, nelle illusioni, nei pensieri irrazionali.
Ma a un certo punto ho capito che non è vero.
Non è il sentire il problema. È la paura che le persone hanno di sentire davvero.
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Viviamo in una cultura che diffida delle emozioni
Siamo cresciuti in un mondo dove l’autocontrollo è una virtù e la sensibilità è un difetto.
Si dice che bisogna “ragionare”, “distaccarsi”, “non farsi prendere”.
Eppure le emozioni non sono un ostacolo al pensiero: sono ciò che dà senso al pensiero.
La neuroscienza lo conferma da anni: il cervello emotivo e quello razionale non sono due sistemi separati, ma una rete che collabora costantemente.
Le emozioni ci dicono cosa conta per noi, cosa è sicuro e cosa no.
Quando qualcuno ci dice “sei troppo sensibile”, in realtà sta dicendo “mi metti a disagio, perché mi fai sentire qualcosa che non so gestire”.
E questa frase, ripetuta mille volte, diventa un veleno silenzioso.
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Cosa succede dentro una persona sensibile quando viene invalidata
Le persone altamente sensibili vivono un’intensità diversa: il sistema nervoso elabora ogni stimolo in modo più profondo.
Questo non significa essere fragili, ma più percettivi.
Si registrano sfumature, tensioni, microsegnali che altri non notano.
Quando il sentire viene continuamente invalidato, succede qualcosa di grave:
• il corpo entra in ipercontrollo, come se dovesse difendersi da sé stesso;
• si inizia a dubitare delle proprie percezioni;
• e con il tempo, si smette di fidarsi del proprio istinto.
È come vivere con un traduttore rotto tra quello che senti e quello che puoi mostrare.
E da lì nasce la vergogna: “forse esagero, forse non dovrei sentire così.”
Ma non è vero.
Stai solo rispondendo in modo più profondo a un mondo che non ti ha mai insegnato a gestire la profondità.
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Il sentire non è debolezza. È un tipo di intelligenza.
Daniel Goleman l’ha chiamata intelligenza emotiva: la capacità di riconoscere e regolare le emozioni, proprie e altrui.
Ma la regolazione non vuol dire spegnerle — vuol dire dare loro un posto sicuro.
Chi sente molto non è meno lucido: ha semplicemente più dati da gestire.
Il corpo, l’intestino, il respiro, il battito… tutto comunica.
Il sentire è un linguaggio biologico: è il modo in cui il corpo parla della verità.
Eppure veniamo addestrati a diffidare del corpo.
A pensare che la calma sia sempre superiore all’intensità.
Ma la calma che nasce dal rifiuto è solo una forma elegante di chiusura.
Mentre il sentire autentico, anche se scomodo, è la base della consapevolezza.
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Reclamare il diritto al proprio sentire
Rivendicare il diritto a sentire è un atto di resistenza.
Significa dire: “Non sono sbagliatə se mi commuovo, se mi arrabbio, se mi tocca qualcosa che a te lascia indifferente.”
Significa smettere di difendersi da sé stessə.
Io, per esempio, non voglio più chiedere scusa per quello che provo.
Non voglio più nascondere la mia intensità solo perché mette in imbarazzo chi non la conosce.
Il mio sentire è reale, anche quando non è logico.
E ha diritto di esistere.
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Difendere il sentire come atto politico dell’anima
Non serve parlare di propaganda o ideologia.
Qui “politico” significa umano: riguarda come viviamo insieme.
Ogni volta che difendi il tuo sentire, stai difendendo anche la possibilità di un mondo meno anestetizzato, più vero.
Chi ti dice di “non prenderla così tanto” non è più forte: è solo più distante da sé.
E tu non devi diventare come lui.
Perché senza chi sente, non resta niente che valga la pena di capire.
Mi hanno detto che il mio sentire non è valido.
Ma io so che è la mia verità.
E non la lascio più in silenzio.