Quando il talento non si vede

Certe persone vengono definite “gifted”, “dotate”, “con un dono”.

Io preferisco chiamarle persone con un talento sensibile.

Non parlo di quoziente intellettivo o di successo scolastico, ma di una caratteristica del cervello: una combinazione di intensità emotiva e cognitiva. È una forma di sensibilità che percepisce troppo, elabora troppo, e spesso si esaurisce nel tentativo di gestire tutto ciò che sente.

Si potrebbe pensare che chi ha questo tipo di talento spicchi naturalmente.

In realtà, accade spesso l’opposto.

Il paradosso del talento sensibile

Molte persone con talento sensibile non sembrano tali.

Non emergono, non attirano attenzione. Si bloccano, si colpevolizzano, si adattano. Hanno imparato a nascondere la propria intensità per sopravvivere in contesti che non la capivano o la punivano.

Quello che potrebbe essere intuito, empatia, visione profonda, diventa iperanalisi, controllo, perfezionismo, tristezza.

Quando l’intensità incontra il trauma e la perdita

Quando questa sensibilità si sviluppa in ambienti segnati da trauma, dolore o perdita, l’energia del talento si sposta dalla crescita alla protezione.

Il corpo rimane in allerta, la mente corre, ma non verso la creazione: verso la difesa.

Ciò che da fuori si vede è solo confusione, lentezza, o incapacità di agire.

In realtà è un sistema nervoso che tenta di tenere insieme troppo.

Molte persone con talento sensibile hanno vissuto esperienze di abbandono emotivo, genitori critici o imprevedibili, lutti, o situazioni dove essere sensibili era pericoloso.

Così imparano a contenersi, a ridursi, a non disturbare.

E quando finalmente si spengono, tutti le scambiano per persone “fragili”.

Perché nessuno lo collega al talento

La società riconosce solo il talento che produce: quello che parla, crea, mostra.

Non sa leggere la brillantezza silenziosa di chi è ancora in lotta con il proprio corpo e la propria storia.

Quando un talento sensibile vive in un sistema che non lo accoglie, non si vede. Ma non per questo smette di esistere: si trasforma in ipervigilanza, in pensiero incessante, in malinconia.

Liberare, non correggere

Il talento sensibile non ha bisogno di stimoli, ma di sicurezza.

Non va potenziato: va liberato dal senso di colpa e dalla paura di essere troppo.

Solo quando smette di difendersi, torna a esprimersi: con calma, autenticità, profondità.

Chi vive così non ha bisogno di essere curato.

Ha bisogno di essere riconosciuto.

Il talento sensibile non è un dono nel senso romantico del termine.

È una forma di vita intensa, che per funzionare ha dovuto imparare a sopravvivere.

E che, quando finalmente si sente al sicuro, non diventa eccezionale — diventa semplicemente sé stessa.

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