Doppiamente eccezionali: quando talento e vulnerabilità convivono nella stessa mente

Doppiamente eccezionali: quando talento e vulnerabilità convivono nella stessa mente

In psicologia dell’educazione si parla di persone Twice Exceptional — in italiano doppiamente eccezionali — per descrivere chi possiede capacità cognitive molto alte e, allo stesso tempo, una o più difficoltà di apprendimento o di regolazione emotiva.

Il termine è stato introdotto negli anni ’90 dalla psicologa americana Linda Silverman, fondatrice del Gifted Development Center di Denver, specializzato nello studio dei bambini “dotati” (gifted) e ad alto potenziale.

Silverman scoprì che molti di questi bambini erano eccezionali due volte: per il loro talento e per le loro vulnerabilità.

Come nasce il concetto di “doppiamente eccezionale”

Negli anni ’80 e ’90, Linda Silverman lavorava con bambinə consideratə molto intelligenti, ma notava che alcuni di loro avevano anche forti difficoltà: disattenzione, ansia, dislessia o fatica nella gestione emotiva.

Il sistema scolastico dell’epoca divideva nettamente gli studenti “bravi” da quelli “problematici”.

Chi apparteneva a entrambe le categorie non veniva capito da nessuno.

Da qui nasce l’idea di “eccezionali due volte”: una per le abilità sopra la media, una per le sfide che le accompagnano.

Cosa significa essere doppiamente eccezionali

Essere doppiamente eccezionali non vuol dire essere “geniali con problemi”.

Significa avere un cervello che funziona in modo complesso: alcune aree sono altamente sviluppate, altre più fragili.

Per esempio:

• intelligenza elevata e disturbo dell’attenzione (ADHD),

• forte pensiero logico e dislessia,

• talento creativo e ansia cronica,

• empatia intensa e difficoltà a regolare le emozioni.

Queste combinazioni creano profili unici, spesso difficili da riconoscere con i metodi educativi o diagnostici tradizionali.

Prima di Silverman: bambini fraintesi

Prima che si parlasse di “doppiamente eccezionali”, questi bambini venivano spesso giudicati “pigri”, “disorganizzati” o “instabili”.

Le loro capacità venivano oscurate dai comportamenti irregolari o dalle difficoltà scolastiche.

Silverman cambiò prospettiva: mostrò che l’intelligenza e la vulnerabilità possono coesistere e che uno dei due aspetti spesso maschera l’altro.

Un bambino può sembrare inadeguato non perché lo è, ma perché il suo modo di funzionare è diverso da quello per cui la scuola è stata pensata.

Un nuovo modo di vedere la complessità

Chiamarli “doppiamente eccezionali” ha trasformato l’approccio educativo.

Non più “studenti difficili”, ma sistemi complessi da comprendere.

Non più un problema da correggere, ma un equilibrio da sostenere.

Questo cambio di linguaggio ha portato a strategie più mirate:

• programmi personalizzati,

• valorizzazione dei punti di forza,

• sostegno specifico nelle aree di fragilità.

È un passaggio da una logica di “normalizzazione” a una di integrazione delle differenze.

Quando il profilo doppiamente eccezionale arriva all’età adulta

Molti adulti scoprono solo dopo anni di sentirsi diversi che, da piccoli, erano “doppiamente eccezionali”.

Da bambini erano curiosi, veloci, profondi, ma anche facilmente sopraffatti o frustrati.

Da adulti, questo si manifesta in modi diversi:

• pensiero iperattivo e difficoltà a fermarsi;

• empatia elevata e vulnerabilità allo stress;

• idealismo, perfezionismo e senso di inadeguatezza;

• alternanza tra energia creativa e esaurimento.

Non sono persone “troppo sensibili”: sono cervelli complessi che processano ogni esperienza su più livelli.

Perché riconoscersi è utile

Dare un nome a questo modo di funzionare non serve per etichettarsi, ma per capire.

Capire che non si è incoerenti, ma multidimensionali.

Che la difficoltà di gestire le emozioni non cancella le proprie capacità, e che le capacità non cancellano la fatica.

Conoscersi permette di smettere di compensare e iniziare a integrare.

Dalla scuola alla vita reale

Le ricerche successive (Silverman, 2012; Baum, Schader & Hébert, 2017) hanno confermato che la doppia eccezionalità non “passa” con l’età.

Il cervello resta lo stesso: solo che da adulti non esiste più un contesto che lo riconosce.

Per questo molte persone doppiamente eccezionali entrano facilmente in burnout, oscillano tra iperattività e blocco, e si sentono sempre “fuori luogo”.

Il percorso di crescita non consiste nel diventare “normali”, ma nell’imparare a gestire le proprie polarità: il talento e la fragilità.

Essere doppiamente eccezionali significa essere eccezionali due volte: per ciò che si riesce a fare e per ciò che si fa fatica a gestire.

Non è un difetto, né un privilegio, ma una struttura complessa che richiede conoscenza, spazio e autoregolazione.

Come scrive Linda Silverman:

“Non sono studenti difficili. Sono studenti che richiedono un modo diverso di essere visti.”

Lo stesso vale per gli adulti: non sono persone instabili, ma menti profonde che hanno bisogno di comprensione più che di correzione.

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