Per gran parte della mia vita ho dato per scontato che tutti pensassero come me.
Che tutti si facessero mille domande, che tutti vivessero la stessa confusione tra pensieri, emozioni, possibilità.
Che tutti cercassero di capire perché fanno quello che fanno, chi sono davvero, cosa significa tutto questo.
Non mi sembrava una particolarità. Mi sembrava semplicemente umano.
Solo col tempo mi sono accorta che non era così.
La domanda che non mi aspettavo
Me ne sono resa conto nella vita reale — nei legami, nelle relazioni, nella famiglia.
Mi accorgevo che gli altri non sembravano avere la stessa urgenza di capire, di andare a fondo.
Non sentivano quella curiosità costante che per me è come un motore.
E a volte li guardavo e mi chiedevo: ma come fanno a stare bene così?
Non lo dico con giudizio. Lo dico con stupore.
Perché per me è quasi impensabile vivere senza mettere tutto in discussione,
senza farsi travolgere da mille pensieri in una sola giornata,
senza sentire così tanto da dover trovare un senso a ogni cosa.
Così ho iniziato a farmi una domanda che non mi ero mai posta davvero:
come pensano gli altri?
Funzionamenti diversi
Nel tempo — e anche attraverso la mia formazione — ho scoperto che le persone non pensano tutte allo stesso modo.
Non parlo di intelligenza o di cultura, ma di funzionamento mentale.
Alcune menti, come la mia e come quella di tante persone sensibili e intense che incontro nel mio lavoro,
sono riflessive: pensano in modo profondo, multidimensionale, con mille connessioni attive insieme.
Cercano significato, possibilità, coerenza. Si interrogano continuamente su di sé e sul mondo.
Vivono in un flusso di curiosità e immaginazione che può essere bellissimo, ma anche faticoso.
Altre menti, invece, sono funzionali: pensano in modo più lineare, concreto, orientato all’equilibrio.
Il loro cervello lavora per mantenere stabilità, prevedibilità, sicurezza.
Non cercano costantemente il “perché”, ma il “come”:
come faccio a stare bene? come gestisco la giornata? come trovo serenità?
Non è superficialità. È un altro modo di funzionare.
Due orientamenti diversi
Dove una mente riflessiva cerca significato, una mente funzionale cerca stabilità.
Dove io vedo connessioni, possibilità, intrecci infiniti,
l’altra persona vede compiti, priorità, direzioni pratiche.
Io cerco intensità.
Loro cercano calma.
E va bene così.
È davvero così semplice e così profondo allo stesso tempo:
sono due direzioni diverse, entrambe legittime.
Il rischio del giudizio reciproco
Chi ha una mente riflessiva tende a pensare che l’altro sia “spento”.
Chi ha una mente funzionale può pensare che noi siamo “troppo”.
Entrambi sbagliamo.
Perché nessuno dei due funzionamenti è sbagliato: risponde solo a bisogni diversi.
C’è chi ha bisogno di stabilità per sentirsi al sicuro,
e chi ha bisogno di movimento per sentirsi vivo.
Il punto non è scegliere quale sia giusto.
È riconoscere che coesistono.
L’incontro tra intensità e stabilità
Quando due persone con funzionamenti diversi si incontrano — che sia in un’amicizia, una relazione o un legame familiare —
può nascere incomprensione.
Una parte vorrebbe “sentire di più”, l’altra “tranquillizzarsi”.
Una ha bisogno di esplorare, l’altra di consolidare.
Ma se c’è rispetto, può diventare un incontro che arricchisce entrambi.
Accettare la diversità dei funzionamenti
Oggi so che non tutti cercano quello che cerco io.
E che non tutti vivono il mondo come lo vivo io.
Non perché manchi loro qualcosa, ma perché funzionano diversamente.
Io cerco senso.
Loro cercano equilibrio.
E in questo equilibrio di differenze c’è la ricchezza dell’essere umani.
Per chi si sente “troppo”, per chi ha sempre pensato di dover cambiare per adattarsi:
non sei sbagliato, sei solo costruito in un altro modo.
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