Se senti emozioni troppo forti e pensi che questo sia “il problema”, non è colpa tua.
Non è un difetto, non è un sintomo, e non è qualcosa che devi spegnere.
È solo che nessuno ti ha mai spiegato cosa sono davvero le emozioni, da dove arrivano, perché diventano ingestibili e perché non si curano come si curano i sintomi.
In questo articolo ti mostro cosa significa davvero parlare di regolazione emotiva, perché non è un lavoro di controllo ma di comprensione, e perché spegnere ciò che senti—come molti ti suggeriscono—è esattamente ciò che ti fa stare peggio.
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Emozioni vs sintomi
Quando un’emozione viene trattata come un sintomo, il messaggio implicito è:
“Così come sei, non vai bene. Devi aggiustarti”.
Questa è l’idea che molti imparano molto presto:
– piangi troppo → sei esageratə
– ti arrabbi → sei aggressivə
– ti blocchi → sei debole
– hai paura → sei fragile
In realtà succede il contrario: più cerchi di “aggiustarti” spegnendo ciò che senti, più il corpo alza il volume.
Un’emozione non è un errore del sistema.
È il modo in cui il sistema ti segnala che qualcosa, nella tua storia o nella tua situazione attuale, non è sostenibile così com’è.
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Che cos’è davvero la disregolazione emotiva
“Disregolazione emotiva” è una parola che spaventa.
Sembra dire: “tu non sei capace di gestire le emozioni, sei difettosə”.
In realtà, messa giù senza etichette, significa una cosa molto semplice:
Il tuo sistema nervoso non ha avuto abbastanza sicurezza, tempo, persone e strumenti per imparare a stare con quello che sente.
Disregolazione non vuol dire “emozioni sbagliate”.
Vuol dire contesto mancante.
È quello che succede quando:
• da piccolə ti dicevano “non piangere, non è niente”
• nessuno reggeva la tua rabbia, quindi l’hai girata contro di te
• eri tu a calmare gli adulti, non il contrario
• hai dovuto “funzionare” anche quando dentro eri in pezzi
In un contesto così, è ovvio che il corpo impara a sopravvivere, non a sentirsi al sicuro.
La disregolazione è questo: un sistema che fa del suo meglio in un ambiente che non lo ha aiutato a modulare.
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E allora che cos’è la regolazione emotiva?
Qui arriva il problema: quando sui social si parla di “regolazione emotiva”, spesso sembra che significhi:
• respirare in un certo modo
• fare due esercizi
• ripetere tre frasi allo specchio
• smettere di “farsi coinvolgere”
Se bastasse questo, non avremmo il livello di sofferenza che vedo ogni giorno.
La regolazione emotiva non è spegnere.
Non è neanche “essere sempre calmi e zen”.
La regolazione, in modo molto concreto, è:
• riuscire a restare presenti anche quando arriva un’onda emotiva forte
• sentire il corpo attivarsi, ma non esserne completamente travolti
• riconoscere cosa stai provando e da dove arriva, almeno un po’
• scegliere una risposta che non ti tradisce, invece di reagire in automatico
Per questo serve sia la testa che il corpo.
La corteccia prefrontale (quella che pensa, comprende, mette in ordine) e il sistema nervoso (quello che sente, reagisce, protegge).
Lavorare solo sul corpo, o solo sui pensieri, non basta.
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Gabor Maté e il prezzo della repressione
Gabor Maté, medico e terapeuta, lo ripete da anni:
quando reprimi le emozioni per troppo tempo, il corpo paga un prezzo.
Non perché “pensare negativo ti fa ammalare”, quello è un altro slogan vuoto.
Ma perché:
• se dici sempre sì quando vorresti dire no
• se ingoi la rabbia per non perdere l’affetto
• se sorridi quando dentro vorresti urlare
• se minimizzi il dolore per non “disturbare”
il corpo è l’unico posto in cui tutto questo può andare a finire.
La repressione cronica delle emozioni è uno stress continuo.
Non è un “difetto di carattere”: è un adattamento.
È un modo di restare al sicuro in contesti dove l’autenticità è stata punita.
Maté mostra come certe malattie (non tutte, non sempre) compaiono proprio in persone “bravissime”, accomodanti, che non sanno dire no, che si sono addestrate a non disturbare.
Non perché “se ti arrabbi ti ammali”, ma perché se non ti permetti mai di sentire e mettere confini, è il corpo che finisce per dire basta.
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Perché chi vende soluzioni magiche è pericoloso
Se ti senti fuori controllo con le emozioni, è normale che una promessa del tipo:
• “In 3 step smetti di essere ansiosə”
• “In 21 giorni guarisci dal tuo passato”
• “Con questa tecnica non soffrirai più”
ti seduca. Ti capisco.
Il problema è che è una promessa falsa.
Non perché tu sia “troppo incasinatə”, ma perché la regolazione emotiva è un processo complesso, che:
• ha radici nella tua storia
• è legato alle relazioni che hai avuto
• è scritto nel tuo sistema nervoso
• non si risolve con una tecnica virale
Le pratiche possono aiutare (respiro, movimento, grounding, journaling), ma sono strumenti, non bacchette magiche.
Se qualcuno ti fa sentire che, se non ti bastano, è colpa tua, sta riproducendo lo stesso schema:
“Sei tu il problema”.
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Un esempio concreto: “non so perché piango”
Ti porto un esempio clinico.
Una ragazza arriva da me e mi dice più o meno questo:
“Io piango in continuazione, basta una sciocchezza e crollo. Mi dà fastidio, mi vergogno. Io voglio solo smettere di piangere. E il peggio è che non so neanche perché. La mia infanzia è stata normale, i miei non mi hanno mai fatto mancare niente. Perché sono così?”
Qui, se tratto il pianto come sintomo, il messaggio sarebbe:
“Ok, vediamo come fermare queste lacrime”.
Ma non è così che lavoro.
Iniziamo dal presente:
• quando ti capita più spesso?
• in quali situazioni?
• con chi ti senti così?
• che cosa succede nel corpo pochi secondi prima che partano le lacrime?
Piano piano emergono elementi che non erano “consci”:
• la paura costante di essere di peso
• il senso di colpa quando chiede qualcosa
• il terrore di essere arrabbiata con chi ama
• il bisogno di minimizzare tutto: “non è niente, sto esagerando”
Spesso chi dice “non ricordo niente di particolare della mia infanzia” ha imparato a normalizzaretutto.
Cose che oggi, da adultə, chiameremmo trascuratezza emotiva, ipercritica, inversione di ruoli, vengono archiviate come “era così, punto”.
Il corpo però non archivia.
Continua a reagire.
Nel percorso non lavoriamo per “smettere di piangere”, ma per capire:
• cosa rappresentano quelle lacrime
• che cosa stanno proteggendo
• quale parte di sé si sta facendo sentire ogni volta
Lavoriamo sia con la testa (mettere in ordine la storia, dare un senso) sia con il corpo (riconoscere le sensazioni, trovare modi diversi di stare nell’attivazione).
A un certo punto non è che la persona “smette di piangere”.
Inizia a piangere in modo diverso: meno come esplosione incontrollabile, più come espressione di qualcosa che può finalmente essere visto.
Quello non è un sintomo. È un processo di integrazione.
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Perché a volte non ricordi, ma il corpo sì
È molto comune dire:
“Non ho avuto un’infanzia traumatica, non mi ricordo niente di così grave, quindi non capisco perché sto così”.
Non ricordare non significa che tutto sia andato bene.
Significa che:
• molte cose erano “normali” per il contesto in cui sei cresciutə
• il tuo sistema, per andare avanti, ha messo in secondo piano quello che faceva troppo male
• una parte di te ha imparato a minimizzare tutto per sopravvivere
Ma il corpo ricorda:
nelle tensioni croniche, nelle reazioni “esagerate”, nei blocchi, nell’ipercontrollo o nel collasso.
Qui si vede benissimo perché le emozioni non sono sintomi:
sono la forma in cui il passato, non elaborato, continua a farsi sentire nel presente.
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Regolazione emotiva: testa e corpo insieme
Un’altra distorsione frequente: o si parla solo di corpo (“somatizza”, “rilassa i muscoli”, “respira”), o solo di testa (“cambia pensiero”, “lavora sulle credenze”).
La regolazione emotiva, per come la vedo io, è il punto in cui:
• il corpo può iniziare a sentirsi un po’ più al sicuro
• la mente può mettere in parole quello che prima era solo caos
• la persona può collegare: “quando succede X, sento Y, mi comporto in questo modo, perché una parte di me ha imparato che questo mi protegge”
Non si tratta di “curare” un sintomo.
Si tratta di riconoscere un adattamento e capire se oggi ti serve ancora o ti sta facendo male.
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Il sintomo vero arriva dopo: quando inizi a spegnerti
Il sintomo, quello vero, spesso non è l’emozione in sé.
È ciò che succede dopo anni passati a convincerti che:
• non devi sentire
• non devi disturbare
• non devi arrabbiarti
• non devi essere “troppo”
È lì che iniziano:
• la repressione cronica
• il corpo che somatizza
• la sensazione di vivere scollegatə da sé
• l’anestesia emotiva (“non sento niente, ma sto male lo stesso”)
Ed è esattamente questo che Gabor Maté mette in luce:
quando reprimi sistematicamente ciò che senti per adattarti, il prezzo lo paga la tua salute, emotiva e fisica.
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Cosa te ne fai di tutto questo, concretamente?
Se ti ritrovi in quello che ho descritto, non è perché “sei fatto male”.
Non è perché hai “un sintomo emotivo”.
È perché il tuo sistema nervoso ha fatto l’unica cosa che poteva fare, con gli strumenti e le relazioni che aveva.
Il lavoro che faccio con le persone non è insegnare a essere “più forti”, né a controllare la propria emotività.
È un lavoro di:
• traduzione: dare un senso a quello che succede dentro
• riascolto: fare spazio a emozioni che non hanno mai avuto diritto di parola
• rinegoziazione: capire quali adattamenti oggi ti proteggono e quali ti stanno distruggendo
• integrazione: tenere insieme testa e corpo, storia e presente
Le emozioni non sono sintomi.
Sono segnali.
E finché qualcuno continuerà a dirti che vanno spente, sarà molto difficile costruire una vera regolazione emotiva, quella che ti permette di restare te stessə senza crollare ogni volta.
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Se mentre leggevi ti sei riconosciutə nelle descrizioni di ansia, rabbia, pianto “senza motivo”, o nel non ricordare davvero la tua storia ma sentirne addosso tutto il peso, sappi che non sei un caso strano: sei esattamente il tipo di persona con cui lavoro.
In un percorso non ti insegnerò a spegnere ciò che senti.
Ti aiuterò a capirlo.
Che è la cosa più potente e, alla lunga, l’unica che non ti tradisce.
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