Dopo un trauma o una perdita significativa, molte persone pensano che guarire significhi non provare più dolore, non arrabbiarsi mai, non avere più ricadute. Come se la vita sana fosse una vita senza scosse.
La verità è che questo è un mito: la felicità costante non esiste.
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Perché dopo un trauma il futuro sembra bloccato
Quando si vive un trauma — soprattutto se complesso, cioè ripetuto nel tempo — il corpo e la mente si mettono in modalità sopravvivenza. L’energia serve a resistere, non a immaginare.
È normale sentirsi senza prospettive, incapaci di pensare al domani. Non è una debolezza, è il funzionamento naturale del nostro sistema nervoso sotto stress.
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Non eliminare, ma comprendere
La guarigione non è eliminare emozioni come paura, tristezza o rabbia.
È imparare a riconoscerle come segnali, non come nemici.
Non si tratta di respingerle, ma di ascoltarle e rispondere con più consapevolezza.
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La resilienza non è equilibrio permanente
Spesso si immagina la resilienza come uno stato costante di calma. In realtà, non significa non cadere mai, ma sapersi rialzare.
Un sistema nervoso resiliente non è sempre regolato: è capace di tornare al centro dopo uno scossone.
Questo si coltiva poco alla volta, attraverso relazioni sicure, pratiche corporee e spazi in cui si può essere sé stessi senza giudizio.
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Oltre il mito della felicità
L’idea di dover essere felici ogni giorno è un peso che rischia di aumentare la sofferenza.
La vera crescita sta nel rispondere con compassione a tutte le emozioni, anche quelle più scomode.
Non è un percorso lineare, ma un movimento continuo di integrazione.
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Conclusione
Guarire non significa arrivare a un punto dove il dolore scompare per sempre. Significa imparare a conviverci senza che occupi tutto lo spazio.
Il mito della felicità costante è solo questo: un mito. La vita autentica è fatta di alti e bassi, e la vera forza sta nel non negare nulla, ma nel concedersi di essere interi.