L’empatia è considerata uno dei doni più preziosi che possiamo avere: la capacità di mettersi nei panni degli altri, capire cosa provano, offrire sostegno e connessione. Tuttavia, esiste una forma di empatia che, pur nascendo da un’intenzione positiva, può diventare dannosa per chi la vive: quella che io chiamo empatia tossica.
Che cos’è l’empatia tossica?
L’empatia tossica si manifesta quando una persona mette costantemente i bisogni, i desideri e le emozioni degli altri prima dei propri, fino al punto di ignorare la propria sofferenza e i propri limiti. Non si tratta semplicemente di essere gentili o premurosi, ma di una dinamica più profonda in cui il confine tra sé e l’altro si perde. La persona diventa invisibile a sé stessa, annullando le proprie emozioni e bisogni per non creare problemi o perdere legami importanti.
Da dove nasce questa empatia?
Spesso, l’empatia tossica ha radici in esperienze passate, specialmente durante l’infanzia o momenti di grande stress. In ambienti dove non era possibile esprimere apertamente i propri sentimenti o bisogni — per paura di essere rifiutati, ignorati o puniti — si impara a mettere da parte sé stessi per adattarsi alle esigenze altrui. Questa modalità diventa un meccanismo di sopravvivenza.
Nel tempo, però, questo adattamento può trasformarsi in un’abitudine dolorosa: la persona perde il contatto con il proprio mondo interiore e si dedica esclusivamente agli altri. Questo porta a una forma di esaurimento emotivo e, spesso, a malesseri fisici.
Empatia tossica e salute psicofisica
Il famoso medico e autore Gabor Maté nel suo libro When the Body Says No parla di come il corpo e la mente soffrano quando reprimiamo sistematicamente i nostri bisogni e sentimenti. Negare la propria verità per adattarsi agli altri non solo danneggia la salute emotiva, ma può anche manifestarsi con sintomi fisici come stanchezza cronica, disturbi psicosomatici o malattie autoimmuni.
Come riconoscere l’empatia tossica?
Alcuni segnali comuni sono:
• sentirsi svuotati dopo aver aiutato o acconsentito a qualcuno;
• paura di dire “no” per timore di deludere o perdere legami;
• difficoltà a identificare e comunicare i propri bisogni e sentimenti;
• senso di colpa quando si pensa a prendersi cura di sé;
• sentirsi invisibili o non abbastanza, nonostante il continuo dare agli altri.
Il primo passo per uscirne: tornare a sé stessi
Il percorso per uscire dall’empatia tossica passa attraverso il riconoscimento delle proprie emozioni e bisogni. È fondamentale ricostruire un rapporto sano con sé stessi, imparando a distinguere ciò che è davvero nostro da ciò che accogliamo come responsabilità degli altri.
Il counselling può offrire uno spazio sicuro per esplorare queste dinamiche, imparare a dire “no” senza sensi di colpa, e recuperare la propria voce autentica.