Menti Icariche: perché alcune persone non riescono a stare nei confini

In Italia c’è un tipo di mente di cui non si parla quasi mai.

Non se ne parla nelle università di psicologia e nemmeno nelle scuole di psicoterapia, perché non rientra nei modelli clinici.

Non esiste un capitolo, non esiste un nome, non esiste un linguaggio chiaro.

Eppure esiste.

Sono le persone che sentono tanto, pensano tanto, elaborano tutto.

Non è un carattere difficile, non è “dramma”, non è “troppo”.

È un modo di funzionare.

Io le chiamo Menti Icariche, dal mito di Icaro. 

Come funziona una mente icarica

Ci sono persone che non funzionano in modo lineare.

Non seguono un livello alla volta: ne tengono aperti molti, in parallelo.

Non è solo intensità.

È profondità, complessità, stratificazione interna.

Quando vivono qualcosa, non registrano solo l’esterno.

Registrano anche:

– cosa succede dentro

– cosa è stato toccato dal passato

– cosa potrebbe accadere dopo

– cosa sta vivendo emotivamente l’altra persona

– quali implicazioni nasconde la situazione

Tutto insieme, tutto in tempo reale.

Sono menti che vanno subito al nucleo.

Non restano in superficie.

Vedono connessioni, incoerenze, segnali sottili.

Non notano “tutto”: notano quello che cambia il senso di una situazione.

L’immaginazione è sempre attiva, nel bene e nel male.

C’è creatività, visione, intuizione.

E ci sono anche scenari mentali, ipotesi, paure che si accendono da sole.

Le emozioni arrivano forti, rapide, dense.

Non perché esagerano, ma perché il sistema interno risponde così.

E la cosa più dolorosa è che molte di queste persone non si riconoscono in questo profilo.

Pensano di essere complicate, pesanti, sbagliate.

Le difficoltà interne

Una mente così ha qualità enormi, ma vive anche un sovraccarico costante.

Spesso:

– si sente “tanto” anche quando fuori è tutto normale

– sente emozioni che agli altri sembrano esagerate

– non riesce a lasciar correre

– porta tutto nel corpo: tensione, stanchezza, insonnia

– pensa e ripensa, e poi si giudica per questo

– si sente responsabile anche di ciò che non dipende da lei

– si chiede continuamente “perché sono così?”

La psicoterapeuta americana Paula Prober, che ha lavorato decenni con persone sensibili e complesse, parla spesso del ciclo perfezionismo–procrastinazione.

Queste menti vedono tutto.

Problemi, possibilità, rischi, conseguenze.

E quindi fanno una cosa tipica:

o partono perfette, o rimandano.

Non c’è via di mezzo.

Le difficoltà relazionali

L’altro livello è relazionale.

È quello che si crea nel tempo, quando nessuno capisce questa intensità.

Molte persone così:

– vengono chiamate “troppo emotive”

– vengono ridimensionate o corrette dai familiari

– imparano ad adattarsi sempre

– diventano quelle che capiscono tutti, nessuno che capisce loro

– cercano connessione profonda e raramente la trovano

– finiscono a essere la versione ridotta di sé per diventare “accettabili”

Questo è trauma relazionale:

non un evento enorme, ma la somma quotidiana di fraintendimenti, correzioni, giudizi.

Col tempo portano dentro un’unica domanda:

“Perché non riesco a essere come gli altri?”

“Perché mi stanco così?”

“Perché tutto mi tocca così tanto?”

La risposta è semplice:

non è debolezza.

È profondità.

Perché la psicologia accademica non ne parla

Molti si chiedono perché psicologi e psicoterapeuti, spesso, non nominano mai tutto questo.

La ragione è chiara:

questo modo di funzionare non è studiato nei percorsi accademici.

L’università lavora con disturbi, diagnosi, protocolli, sintomi.

Quindi tutto viene letto attraverso quella lente.

Una persona intensa e complessa può venire interpretata come:

– ansia

– ipervigilanza

– ipersensibilità

– ADHD

– tratti borderline

– bipolarità

– disregolazione emotiva

Sono letture possibili, ma non raccontano il quadro completo.

Non spiegano come funziona la mente.

Spiegano solo cosa “non va”.

E la persona finisce ridotta, invece che vista.

Come viene chiamato all’estero

All’estero tutto questo è molto più chiaro.

– Gifted adults (Paesi Bassi, Stati Uniti): non “super intelligenti”, ma persone con mente complessa, veloce, sensibile, profonda.

– Zebra (Francia): pattern unico, non confondibile.

– Rainforest Mind (Stati Uniti): mente densa, ricca, piena di strati e movimenti interni.

– Twice exceptional (mondo anglosassone): alta complessità cognitiva + alta sensibilità emotiva e vulnerabilità. 

In Italia non c’è ancora un nome.

E quando manca un nome, manca anche il linguaggio.

E quando manca il linguaggio, tutto sembra un sintomo.

Perché le chiamo Menti Icariche

Mentre studiavo questo tema, mi è tornata in mente una figura chiara: Icaro.

Icaro ha le ali.

Ha uno slancio naturale verso l’alto.

Ha la possibilità di vedere sopra ciò che imprigiona tutti gli altri.

Il problema non è il volo.

È l’assenza di guida.

La società fa come Dedalo:

ti dà limiti, divieti, regole, “stai nel mezzo”, “non sentire troppo”, “non pensare troppo”.

Ma alcune menti non sono nate per stare nel mezzo.

Hanno bisogno di salire.

Hanno bisogno di capire, esplorare, andare oltre.

Quando questa spinta non viene accompagnata, diventa pericolosa.

Non perché è sbagliata.

Ma perché non ha contenitore.

È così che tante persone si fanno male.

Non per il volo.

Ma per il volo senza guida.

Conclusione

Una mente icarica non è una diagnosi.

Non è un’etichetta.

Non è un difetto.

È una struttura interna complessa.

Va sostenuta, non frenata.

Perché andrà comunque oltre.

Fa parte del suo modo di essere.

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